domenica 20 ottobre 2013

Sotto gabbia virtuale

Della persona più vera che esiste in questo mondo, gli occhi non hanno luce e i toni non fanno eco qui nel virtuale se dal vivo, tali materie, non le si conosce e non le si vive abbastanza da ricrearseli da sé (qui) quando il dubbio si manifesta. Momenti specifici di una conversazione non verbale, richiedono infatti capacità empatiche molto spesso assenti tra i vari interlocutori; no che questi non le abbiano, semplicemente non si conoscono sufficientemente abbastanza da affrontarli e discuterli senza abbisognare di un contatto diretto quale potrebbe essere il suono della voce o la mimica di uno sguardo. Siamo esseri umani, e certi lati di una persona, prima di impararli a leggere dalle sue parole abbiamo bisogno di impararli a leggere dal suo corpo. È indispensabile, al fine di comprendere senza dubbio alcuno, il messaggio scritto dall'altro, immaginare il tono e gli occhi con cui quest'ultimo l'avrebbe pronunciato dinnanzi a noi; perché se nessuno dei due interlocutori conosce tutti i lati dell'altro, nessuno dei due interlocutori potrà mai ricrearsi l'immagine dell' altro quando questi si presenterà nel virtuale con un lato finora sconosciuto, nuovo e in tal caso discutibile, che rischia di creare in chi dall'altra parte dello schermo si trova, confusione e fraintendimento. Sono quindi cause di peculiare distorsione schematica sociale, le interazioni virtuali tra due interlocutori; poiché la percezione umana non si limita semplicemente a riprodurre la realtà esterna, ma la ricostruisce anche, fedelmente o erroneamente, al fine di dare un senso alle informazioni. Informazioni, in questo caso sguardi e toni, la cui assenza ci limita non poco nel delineare silenzio, maschera e sconforto; informazioni, la cui assenza non ci permette di trapelare disappunto, boria, cruccio e quant'altro sta cercando di trasmetterci il nostro parlante. Se d'informazioni stiamo parlando quindi, e se sono queste assenti o non ricreabili da sé, certe parole non sono che indecifrabili e alle volte vuote, poiché non si conoscono e riconoscono in esse gli occhi e i toni di chi li scrive. Perché sono questi: lo sguardo e la voce, il vero inchiostro che da vita al verbo, un inchiostro poco riscontrabile nella qualsiasi penna o tastiera di chiunque.

giovedì 17 ottobre 2013

Si è quel che si fa o si fa quel che si è?

Si è quel che si fa e non si fa quel che si è perché essendo quel che facciamo esprimiamo una conseguenza che a parti invertite non necessariamente verrebbe fuori. Io sono un pittore e per questo so dipingere. Io dipingo, ma questo non fa di me un pittore.